Licenziamento disciplinare
In tema di licenziamento disciplinare e criterio di proporzionalità il Tribunale di Prato con la Sentenza n. 70 del 4.09.2020 ha statuito quanto segue: “In tema di licenziamento disciplinare, spetta al giudice di merito valutare la congruità della sanzione, tenendo conto di ogni aspetto concreto del fatto, in un apprezzamento unitario e sistematico della sua gravità – considerando le mancanze anche alla luce della loro valutazione da parte della contrattazione collettiva; ponendo attenzione alla intensità dell’elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto dalle mansioni, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto, alla durata dello stesso, all’assenza di pregresse sanzioni, alla natura e alla tipologia del rapporto medesimo – Ciò che rileva nella valutazione della proporzionalità tra fatto addebitato e licenziamento è la ripercussione sul rapporto di una condotta suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento, in quanto sintomatica di un certo atteggiarsi del lavoratore rispetto agli obblighi assunti”.
La vicenda analizzato dal Tribunale toscano ha tratto origine da un lavoratore il quale, dopo aver ricevuto dalla propria azienda la notifica di un licenziamento disciplinare (giusta causa), lo ha formalmente impugnato.
Il licenziamento da parte dell’azienda era avvenuto per i seguenti specifici motivi:
1) minacce che il lavoratore avrebbe riferito nei confronti di un suo superiore gerarchico nel momento in cui l’azienda gli aveva rifiutato la richiesta di ottenere un aumento di retribuzione,
2) abbandono, senza autorizzazione, del posto di lavoro prima della fine del turno e quindi rifiuto di svolgere le mansioni di sua competenza,
3) danneggiamento beni aziendali.
Il lavoratore a sostegno della propria domanda di opposizione nei confronti del licenziamento ha contestato la veridicita’ dei fatti così come rappresentati dall’azienda nella lettera di licenziamento.
L’azienda, anch’essa costituitasi in giudizio ha invece ribadito le proprie ragioni ovvero le cause (sopra indicate) che l’avevano spinta a licenziare il lavoratore.
A seguito dell’istruttoria (prove testimoniali) il Tribunale di Prato, con una interessante sentenza, ha dato però ragione al lavoratore.
Il Tribunale di Prato infatti, ha prima di tutto richiamato nella propria sentenza alcuni principi giurisprudenziali in tema di licenziamento disciplinare secondo cui “l’elencazione delle ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta nei contratti collettivi ha, al contrario che per le sanzioni disciplinari con effetto conservativo, valenza meramente esemplificativa, sicche’ non preclude un’autonoma valutazione del giudice di merito in ordine alla idoneita’ di un grave inadempimento o di un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile, a far venire meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore. In tema di licenziamento, infatti, la nozione di giusta causa e’ nozione legale ed il giudice non e’ vincolato alle previsioni contenute nei contratti collettivi”.
E’ dato altresì leggere nella sentenza in commento che il Tribunale di Prato ha ritenuto che il Giudice è comunque legittimato a ritenere la sussistenza di un licenziamento disciplinare ove un grave inadempimento ovvero un grave comportamento abbia fatto venire meno il rapporto fiduciario tra il datore di lavoro e il lavoratore.
Dall’altra parte, il Tribunale di Prato ha affermato che il Giudice ha comunque il potere di escludere altresì che il comportamento del lavoratore costituisca una giusta causa, pur essendo qualificato tale nel contratto collettivo di riferimento, in considerazione delle circostanze concrete che lo hanno caratterizzato.
Sempre nella sentenza si legge che:
1) il giudice è altresì legittimato anche a valutare la proporzionalità della sanzione, tenendo conto di ogni aspetto concreto del fatto, in un apprezzamento unitario e sistematico della sua gravita’,
2) si devono considerare le mancanze del lavoratore anche alla luce della loro valutazione da parte della contrattazione collettiva,
3) deve essere posta l’attenzione all’intensita’ dell’elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto dalle mansioni, alle precedenti modalita’ di attuazione del rapporto, alla durata dello stesso, all’assenza di pregresse sanzioni, alla natura e alla tipologia del rapporto medesimo.
In conclusione, il Tribunale di Prato ha affermato quindi che, cio’ che rileva nella valutazione della proporzionalita’ tra fatto addebitato e licenziamento e’ la ripercussione sul rapporto di una condotta suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento da parte del lavoratore, in quanto sintomatica di un certo atteggiarsi del lavoratore rispetto agli obblighi assunti.
Tanto premesso nel corso dell’istruttoria della causa (prove testimoniali) era emerso quanto segue:
1) l’espressione utilizzata dal lavoratore nei confronti di un suo superiore gerarchico “se non fai come ti dico io ti faccio il culo” – il Tribunale ha valutato queste parole poco delicate e sicuramente di una certa gravita’ (idonea sicuramente a turbare la destinataria delle offese e delle minacce) – tuttavia, questa frase non è stata riferita in termini tali da aver creato un forte turbamento anche nelle altre persone presenti (il tutto basato sulle dichiarazioni dei testimoni intervenuti nella fase istruttoria della causa),
2) l’abbandono del servizio prima della fine del turno lavorativo, previsto per le ore 12.30 – in questo caso l’inadempimento del lavoratore (sempre da quanto emerso dalle dichiarazioni testimoniali nel corso del processo) si era di fatto concretizzato in soli quattro minuti (avendo il lavoratore abbandonato il luogo di lavoro alle ore 12.26) ed, inoltre, a fronte dell’uscita anticipata, sicuramente indebita, non era comunque emersa o stata allegata alcuna particolare problematica che avesse in qualche modo ingenerato un pregiudizio imminente nella produzione lavorativa dell’azienda,
3) riguardo al danneggiamento procurato dal lavoratore ai beni aziendali (sempre da quanto emerso dalle dichiarazioni testimoniali svolte nel corso del processo), non vi poteva essere dubbio che esso fosse stato involontario o comunque non oggetto di dolo intenzionale, tenuto conto anche della dinamica dei fatti rappresentata, che aveva visto il lavoratore sbattere la porta due volte a fronte del diverbio intervenuto, ma non esercitare un concreto atto intenzionale volto a pregiudicarne il funzionamento della porta stessa.
Il Tribunale quindi ha concluso la causa affermando che in tema di licenziamento disciplinare e criterio di proporzionalità l’adozione del provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore si rivelava essere incompatibile con la scala di valori recepita all’interno del CCNL atteso che, in primo luogo:
1) non si delineava una grave insubordinazione per quanto emerso dalle dichiarazioni testimoniali,
2) non provato lo stravolgimento dell’attivita’ lavorativa dell’azienda,
3) non provato il grave turbamento nel personale che ha assistito alla condotta ed alla discussione tra i due protagonisti della vicenda,
4) Non risultava che il danneggiamento fosse oggetto di un’azione particolarmente violenta del lavoratore quanto invece frutto di un’esternazione sicuramente censurabile.
Da ciò ne è conseguito l’accoglimento della domanda del lavoratore nei confronti del licenziamento che gli era stato intimato dall’azienda.
Dalla lettura della Sentenza sono quindi emersi due principi giuridici fondamentali:
a) Il licenziamento disciplinare e criterio di proporzionalità deve essere quindi sempre visto nel senso che, è strettamente necessaria la sussistenza di una proporzionalità ovvero di una congruità tra la sanzione disciplinare (licenziamento per giusta causa) comminata al lavoratore ed il fatto contestato allo stesso dall’azienda,
b) il Giudice, può sempre comunque verificare la corretta applicazione del suddetto principio non attenendosi quindi solamente alle varie ipotesi di licenziamento disciplinare contemplate nei vari contratti collettivi nazionali
Avv. Claudio De Fenu
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